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IllustraStorie: Jack e la Valle d’Autunno

Le IllustraStorie sono racconti brevi o poesie che accompagnano le mie illustrazioni. Arricchiscono ciò che l’immagine racconta, e l’illustrazione nutre ciò che le parole dicono. Lavorano tra loro in armonia, quella stessa armonia che inserisco nei miei progetti quando realizzo illustrazioni per i romanzi o per le loro copertine (qui puoi scoprire di più al riguardo).

In occasione della challenge di Halloween organizzata dal collettivo artistico dei Creomanti, di cui faccio parte, oggi vi racconto la storia dietro l’illustrazione Jack e la Valle d’Autunno, realizzata apposta per l’evento. L’ho immaginata come la copertina di un racconto di paura per ragazzi.

Siete pronti a sentire la storia di Jack?

Illustrazione digitale fantasy di ragazzino con cappello seduto sopra una zucca gigante, in un'ambiente autunnale.
“Jack e la Valle d’Autunno”. Progetto personale © 2023

Jack e la Valle d’Autunno

Fa freddo.
L’umidità del terreno mi entra sotto la pelle, fino alle ossa. Sono dentro la buca solo da pochi minuti, ma il freddo delle notti autunnali si fa sentire prepotente. I battiti del mio cuore iniziano pian piano a tornare regolari, dopo aver fatto vibrare il mio petto a un ritmo impazzito. La fuga è stata rapida, e non mi hanno mai beccato, ma ogni volta l’adrenalina schizza alle stelle. Sento in lontananza voci concitate, ma so che non verranno mai a cercarmi qui, nel cimitero abbandonato. Solo io ho il coraggio di entrarci, tra tutti gli abitanti del villaggio. Per sicurezza, ho comunque voluto nascondermi dentro questa fossa vuota, non si sa mai. Chi l’ha scavata, poi? Sono decenni che questo luogo è abbandonato, le tombe degli abitanti vengono erette a nord del villaggio sin da prima che nascessi. Sdraiato con la nuda terra a contatto con la mia schiena, ora umida per il freddo, osservo il rettangolo di cielo che si trova sopra di me, le stelle a strizzarmi l’occhiolino per l’ennesima marachella.

Ok, forse questa volta ho un tantino esagerato. Forse. Sicuramente rubare galline, rompere staccionate e distruggere le colture non è la stessa cosa che dar fuoco al capanno con il raccolto di tutto l’anno. A mia discolpa, posso dire che non era quella la mia intenzione, io volevo solo arrostire le castagne che avevo appena rubato dalla cantina della signora Perkinson. Ho 11 anni, può capitare di accendere male un fuoco, no? Ma gli abitanti del villaggio non sembravano dello stesso avviso. Non mi ha visto nessuno mentre scappavo, ne sono certo, eppure già da lontano sentivo urlare il mio nome. “È stato Jack! Quel piccolo demonio, stavolta non la passa liscia!”, “Il raccolto di un anno! Come faremo a sopravvivere? Non m’importa se è orfano, non si può giustificare il suo comportamento!”.

Orfano. Come se fosse colpa mia, come se fosse una vergogna da lavare via come lavano le macchie dai loro panni giù al fiume. Non ho scelto io di essere orfano. Non sono stato io a scegliere di crescere da solo, perché nessuno mi voleva. La Morte si è portata via i miei genitori, di cui non ho nessun ricordo, e io ho dovuto imparare a sopravvivere. Certo, il signor Crabber, il becchino, è stato l’unico ad avere un po’ di riguardo nei miei confronti, dandomi cibo e un riparo quando mi serviva, ma non posso dire che mi abbia fatto da padre. A volte, mi lasciava aperta la porta del mausoleo, facendo finta di dimenticarla così, guarda caso proprio nelle notti di pioggia o di gelo. Spesso, ci trovavo una pagnotta e un po’ di latte. Ma non gli sono grato, figuriamoci. Sono tutti uguali, là fuori. E io sono stanco di questo posto, stanco dei loro sguardi di rabbia e commiserazione, stanco di tutto. Non ho bisogno di nessuno, io.
Il mio corpo è intorpidito, spossato dalla stanchezza per la corsa e per la giornata. E mentre i miei pensieri iniziano ad attorcigliarsi su sé stessi, scivolo in un sonno umido e pesante come una coperta bagnata.

***

Vuoto. Silenzio.
Questo sogno è molto strano, non si vede nulla e nulla sembra accadere. Eppure sento una voce, come un bisbiglio, ma sembra provenire da ovunque e nessun luogo. Il mio respiro è pesante, e le nuvolette di vapore si sollevano come se fossi a vari gradi sotto lo zero, ma non sento nulla. Sono morto?
«Sei ancora molto vivo, in realtà».
Mi agito, voltandomi di colpo. Davanti a me, rannicchiata in un angolo, c’è una piccola e strana creatura. La sua pelle è ricoperta da una peluria simile a quella dei cinghiali, i suoi piedi finiscono con due sole grosse dita, e ha una piccola gobba. Ma è il suo volto che mi paralizza: un grugno che sembra una perenne smorfia di disgusto, due occhi porcini dalle rosse pupille, e delle corna simili a quelle di un ariete. Istintivamente, mi porto una mano davanti al cuore, come a volerlo proteggere, non so il perché.
«Chi sei?» gracchio con più tremore di quel che vorrei, «Cosa ci fai nel mio sogno?».
La creatura mi guarda con curiosità, ma non si muove. Dopo pochi secondi, o forse un’eternità, sorride scoprendo una fila di piccole zanne aguzze e bianchissime, che si aprono come uno squarcio luminoso in quell’oscurità.
«Chi ti dice che sia un sogno?».
«Sto dormendo, ne sono sicuro» rispondo, ma le mie parole per qualche strana ragione mi sembrano sbagliate. Deglutisco a vuoto, la gola secca. Questo sogno è troppo reale per i miei gusti.
«Voi umani, così ingenui. Cosi sicuri di ciò che è vero e ciò che è falso, di ciò che è bene e ciò che è male, quando la verità sta nel mezzo». La creatura si alza, e rimango spiazzato dalla sua mole. Sembrava piccolissimo, così rannicchiato, ma in realtà è alto ed estremamente magro, gli arti più lunghi del normale. Arretro di un passo. Non comprendo cosa voglia dire con le sue strane parole, ma voglio svegliarmi.
«Vuoi svegliarti, piccolo umano?» dice lui, come ad avermi letto nel pensiero, «Puoi farlo, ma solo dopo che risponderai alla mia domanda».
Deglutisco nuovamente, la bocca secca come la terra d’estate.
«Che domanda?», rispondo, la mia voce è un’eco lontano.
«Ti piacerebbe vedere realizzato il tuo desiderio più grande?».
Sento il cuore saltare un battito, e per un attimo tutta la paura viene spazzata via da un senso di euforia. In un istante, immagino la mia vita senza adulti, senza nessuno che mi guardi con disprezzo. Mi immagino senza regole, senza rimproveri da nessuno. Mai più un orfano, ma un figlio del mondo. Libero.
«Sai che io posso aiutarti? Il tuo desiderio realizzato in un attimo, e con un futile piccolo prezzo da pagare. Che ne pensi?», la creatura allunga una mano pelosa verso di me, come a voler sugellare un accordo. Noto che le sue dita hanno lunghe unghie nere e spezzate. «Accetti?».
«Che prezzo?» chiedo, a metà tra il terrore e il desiderio.
«Oh, nulla di importante. È qualcosa che non vedi, che spesso non sai nemmeno di avere» risponde la creatura, con una scrollata di spalle. «Il tuo desiderio più grande, in cambio della tua anima».
Rimango un attimo spiazzato. Anima? Cerco nella mia memoria, ricordando vagamente di averne sentito parlarne dal prete quando mi urlava di pentirmi delle mie marachelle. Non ne so molto, non sono mai entrato in chiesa d’altronde, ma sono sicuro che ha a che fare con quella. Non è un problema in fondo, nemmeno lo conosco bene quel luogo, quindi l’anima non mi serve poi tanto. Non so nemmeno che forma abbia. Forse nemmeno ce l’ho, e la creatura non lo sa.
Sorrido soddisfatto. Magari, sarò io a trarne il maggiore profitto. E poi, questo è solo uno strano e interessante sogno.
«Va bene» rispondo, la voce più decisa, ma uno strano formicolio nella pancia. «Desidero vivere libero, senza nessuno a dirmi cosa fare o a guardarmi con disprezzo. Voglio essere solo, non ho bisogno di nessuno».
All’improvviso quel luogo buio sembra diventare ancora più freddo, mentre gli occhi e la mano che la creatura mi porge diventano incandescenti come braci. Le sue dita nere si posano improvvisamente sul mio petto, facendomi gridare per il dolore.
«Stai molto attento a ciò che desideri» dice un’ultima volta, prima di venire inghiottito dal nulla.

***

Mi sveglio grondante di sudore, i vestiti incollati al corpo. Sopra di me, il rettangolo di cielo si è tinto di sfumature arancio e rosa. Dev’essere l’alba, o forse è il tramonto? Non comprendo da dove arrivi la luce. Mi metto a sedere, un dolore sordo al petto. Mi tocco là dove la creatura mi ha bruciato, ma non vedo nulla sulla pelle. Mi sento strano, come se fossi leggero e pesante al tempo stesso, ed è come se mi mancasse qualcosa. Ma cosa?
Esco dalla fossa, un passo per volta. Mi scrollo la terra di dosso, e nel mentre mi guardo intorno spaesato. È tutto così strano, sembra il posto che conosco e al tempo stesso sembra tutto diverso. Mi muovo lentamente tra le vecchie tombe, illuminate da quella strana luce ambrata del cielo. Sembro uno spettro tra gli spettri, e tremo anche se non fa più freddo. Esco dal cancello di ferro arrugginito, e mi dirigo lentamente verso il villaggio. C’è un silenzio innaturale. Non capisco che ora sia, c’è luce ma non si vede il sole. È come se fosse un perenne tramonto. Cammino per le strade del villaggio, e non mi sento diverso da quando ero al cimitero: non c’è nessuno, a parte me. Dove sono tutti?
Nemmeno una mosca, nemmeno un cane a rovistare tra i rifiuti. Le case sembrano congelate nel tempo, con finestre e porte aperte ma nessuno al loro interno. È davvero il mio villaggio?
Passo i minuti (o le ore?) successivi a vagare lungo le strade, entro nelle case, ma è esattamente come sembra: non c’è più nessuno, qui. Dovrei essere contento, eppure un senso di angoscia mi si aggrappa alle viscere. Sto ancora sognando? O sono ancora addormentato dentro la fossa? Forse sono morto, e non lo so. Sono diventato uno spettro nella mia stessa città?

Ripenso alla creatura del mio sogno, al suo sguardo di fuoco.
Stai molto attento a ciò che desideri.
Può un morto sentire il cuore battere all’impazzata? Perché il mio vuole scapparmi fuori dal petto. Cosa è successo davvero? Cosa ho fatto?
Corro a perdifiato fuori dal villaggio, e mi fermo solo al crocevia, aggrappandomi alla staccionata scheggiata con tutte le mie forze. Ho bisogno di un appiglio, ho bisogno di qualcosa di reale al quale aggrapparmi. Con gli occhi sgranati, osservo la vallata: il sole non si vede, il cielo ha sempre la stessa luce anche se il tempo passa. Poi mi accorgo di alcune foglie rosse e gialle sospese in aria, congelate nell’atto della caduta. No. Il tempo non passa.
Sono intrappolato. Sono solo, libero, senza nessuno che mi guardi con disprezzo, ma intrappolato. Sono inesorabilmente prigioniero di questa Valle di eterno Autunno. Cosa ho fatto?

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Laura Maccarrone © 2023. Questo racconto è ispirato alla mia illustrazione omonima. Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione del testo, anche parziale.

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